domenica, novembre 26, 2006

Cinema invisibile e invedibile




Dopo anni di rivendicazioni del diritto di vedere anche il cinema meno commerciale è alquanto doloroso constatare che l'invisibilità di certi film impegnati, difficili e/o "scomodi" che siano, è assolutamente auspicabile. Forse sono io che ho sfiga, fatto sta che questa settimana, non paga di aver visto Lettere dal Sahara mi sono voluta sorbire anche Fallen. Trattasi di due opere che pur diversissime rientrano nella categoria dei film che, seppur presentati ad importanti festival - nello specifico Venezia 2006 - non godono poi dell'adeguata visibilità. Mai avrei detto che un tale fenomeno fosse inteso alla difesa dell'ignaro spettatore il quale, dopo aver letto critiche inneggianti alla rinascita del cinema "off" e militante, pur di fruire i suddetti capolavori si addentra in fatiscenti sale parrocchiali e/o opportunistiche rassegne a tema. Passi il bravo temino di Barbara Albert: Fallen non è privo di una sincerità di fondo e di un'involontaria comicità, inoltre la giovane regista gode dell'attenuante dell'inesperienza e dell'aver fatto una scuolaccia di cinema. Nessuna pietà merita invece Lettere dal Sahara: additato come il primo grande film verità sul fenomeno dell'immigrazione, non è altro che una favoletta moraleggiante, e delle più bigotte per giunta. L'idea di fondo è che l'immigrato che merita comprensione è il classico buon selvaggio dai buffi e stupidi costumi, ma abbastanza scemo da non discostarsene. Vittorio De Seta è stato un grande documentarista (anche in questo film lo si nota quando si limita a documentare) ed è ora una persona anziana che merita rispetto ed indulgenza, tuttavia dopo aver inflitto all'ignaro spettatore due ore e passa di Lettere dal Sahara meriterebbe di sperimentare sulla sua pelle l'effetto che la disperazione e il degrado producono sulla morale umana.