domenica, agosto 26, 2007

Rabbi dance


Cercasi disperatamente il film di Rabbi Jacob!
Come ci piacciono i film che prendono per il culo la religione.

We want Moore


Ieri Il Manifesto dedicava la sua prima pagina a (ciccio)BOMBA-Michael Moore, il quale si è inaspettatamente presentato a Roma a presentare il suo ultimo film, Sicko. Nell'intervista pubblicata sull'omonimo giornale dichiara di aver deciso di venire in Italia perché è un paese dove i suoi film hanno avuto un pubblico tra i più numerosi al mondo e si permette di suggerire al nostro governo di spendere i soldi per i cittadini invece di sprecarli comprando armi per seguire gli USA nelle loro guerre illegali.
Come avevano fatto gli ottimi Roger and Me e Bowling a Columbine - mentre Fahrenheit 9/11 si perdeva un po' tra i fumi del successo e della campagna elettorale pro Kerry - anche Sicko aggiunge un altro tassello al mistero del perché gli americani sono tanto idioti. Piano, piano Moore ci sta fecendo capire che che vivono in condizioni di abbrutimento tali da non consentire loro alcuna alternativa dignitosa (a meno di non considerare tra queste, l'opzione di morire in una qualche stupida guerra) alla schiavitù totale. Insomma è un paese dove se ti ammali di cancro ti devi vendere la casa per curarti e dove un medico guadagna tanto più quanto riesce ad evitare di curare gli ammalati. Sicko rappresenta la situazione della sanità statunitense attraverso una serie di casi allucinanti che sono all'ordine del giorno. E non si tratta di gente priva delle famigerate assicurazioni sanitarie, ma di gente che deve lottare contro queste ultime dopo avere pagato profumatamente le loro polizze. Queste assicurazioni sono peggio dei criminali nazisti: sono pronte a negare cure indispensabili a dei moribondi revocando le loro polizze sulla base di pretesti oziosi. Viene da chiedersi come si possa accettare di lavorare per loro aiutandoli ad imbrogliare e a speculare sui bisogni dei malati, ma la risposta è presto data: sono tutti schiavi e tutti contro tutti, nella migliore tradizione del divide et impera. Io spero che questo film venga visto dal maggior numero possibile di persone (anche da quel pubblico un po' snob che si è già stufato di Michael Moore, perché è ripetitivo e fazioso e poi adesso che c'è il centrosinistra...), perché noi corriamo il rischio di fare la fine degli americani ed è necessario che si sia pronti a spaccare tutto se si azzardano a cambiare il nostro sistema sanitario in quel senso. Un ultima osservazione: è vero che la sanità di paesi come GB, Francia e Cuba viene rappresentata in maniera un po' idilliaca, ma ricordatevi che è dal punto di vista di un paese dove gli ospedali scaricano la gente sui marciapiedi!

martedì, agosto 21, 2007

UN TOPO DETTO RAT-ATOUILLE


Il protagonista dell'ultima fatica della Disney-Pixar è Rémy, un topo con la passione ed un talento straordinario per la cucina, il quale, fedele al motto del grande cuoco Gusteau "tutti possono cucinare" decide di seguire la sua chimera. Giunge così nella cucina dell'ex-miglior ristorante di Parigi in caduta libera dopo la morte del grande chef (sempre Gusteau, naturalmente). Starà al topo risollevarne le sorti mettendosi in società con un maldestro e poco dotato apprendista alle prese con il dispotico nuovo chef interessato più che altro a vendersi il marchio del prestigioso ristorante come
pubblicità sulle confezioni di nachos, burritos e altre porcherie americane. Mica male come autocritica, considerando che solo qualche anno fa gli USA boiccottavano le cosiddette French Fries! Diplomazia internazionale a parte, Ratatouille (il titolo italiano sarà "Peperonata"? O meglio ancora, per mantenere il gioco di parole, "Toporonata"? Speriamo di no, visto anche che, per quanto analogo alla nostrana peperonata, il piatto provenzale in questione contempla melanzane, pomodori, zucchine e cipolla, ma non peperoni!) è un cartone molto carino. Non solo tecnicamente ammirevole, cosa che a lungo andare stufa parecchio (vedi qui sotto i trailer dei Simpson), ma anche intelligente per la trama e le trovate. Come spesso accade ultimamente, la fiabetta per bambini è molto meno puerile di quanto mediamente si propina agli obnubilati adulti, sarà perché gli uni hanno bisogno di impararare, mentre gli altri devono distrarsi. Il giovane ratto che lascia a malincuore il suo clan (nessun riferimento ai fatti di Duisburg per fortuna) per seguire il suo sogno di fare il cuoco è una figura eroica che chiede (quasi) l'impossibile, ovvero di essere accettata e di rifiutare di nascondersi e di autoghettizzarsi con la scusa della discriminazione. Una sola pecca: un omaggiono al vecchio Topolino glielo potevano pure fare!

martedì, agosto 07, 2007

Grande Per Fly !


Per Fly non è proprio un allegrone, ma bisogna dire che la sua capacità di analizzare e di rappresentare filmicamente problematiche alquanto complesse è assolutamente straordinaria. Dopo lo splendido L'eredità, il 47enne regista danese, sforna Gli innocenti (tit. or.: Drapet), un'altra opera di grande spessore, e si riconferma come potenziale erede dei maestri scomparsi. Ciò che rendeva straordinarie le opere di cineasti come Antonioni e Bergman (per citare solo quelli recentemente scomparsi) non era solo il talento cinematografico, ma la maniera in cui lo utilizzavano per esprimere una loro personale elaborazione filosofica; è proprio il fatto di non avere una loro visione del mondo da rappresentare attraverso il cinema che manca a molti giovani registi, tecnicamente bravi ma spesso e volentieri un po' sciapi. Fortunatamente non è il caso di Per Fly, al contrario, sembra che questo regista abbia elaborato la lezione di Lars von Trier riuscendo a farne un suo stile originale.
Gli innocenti è un film che affronta il tema del terrorismo. Lo fa con una serietà e con una capacità analitica che raramente si incontrano anche tra gli esperti in materia oggi molto in voga, e, soprattutto, si astiene dal sostenere una tesi o dal dare un giudizi di merito. L'opera consiste in una sorta di scomposizione della vicenda nelle sue varie componenti politiche, sociali, psicologiche e affettive: ciò che ne risulta è fondamentalmente un rapporto irrisolto tra la dimensione privata e quella pubblica. Carsten, professore universitario di scienze sociali, stimato da studenti e colleghi per la sua coerenza politica e per la sue capacità critiche, ha un legame affettivo con una ex-studentessa direttamente coinvolta nell'uccisione di un poliziotto nel corso di un'azione di sabotaggio ad una fabbrica di armi. Lui prende le sue difese ma, confondendo gli aspetti politici con quelli personali della questione, finisce per entrare in una profonda crisi. Inutile dire di più, il film va visto, rivisto e meditato perché è pieno di spunti su cui sarebbe bello ed utile discutere.

giovedì, agosto 02, 2007

La Noche de los Girasoles


Non arriverei a definirlo Hitchcock in Castiglia, però ammetto che questo primo cortometraggio del giovane Jorge Sánchez Cabezudo è una discreta prova del fatto che mandandolo a scuola di cinema i suoi genitori non hanno buttato via i soldi. Siamo sui Pirenei, in paesini di montagna mezzi abbandonati, dove, chi è rimasto, soffre di noia, di monotonia e di mancanza di prospettive. L'arrivo del professore di speleologia, fatto venire dalle autorità locali per studiare una nuova grotta, e della sua bella moglie potrebbe rapprensentare un'occasione di sviluppo turistico della zona; ma il maniaco stupratore anch'esso di passaggio in zona finisce per cambiare il corso degli eventi. E una volta consumato, sarà proprio il delitto a rappresentare una nuova occasione da sfruttare più che un mistero da risolvere...
Con la sua aura artigianale e la sua trama ben studiata il film è piacevole e godibile, nonostante alcuni evidenti difetti di costruzione. Sembra che il regista non abbia saputo decidere tra l'ormai classica e molto in voga struttura a ritroso (flashback) e quella a capitoli. Alla fine usa entrambe e riesce anche a farsi capire, ma il film non ci guadagna niente in termini estetici, anzi, si sfilaccia parecchio. Anche l'effetto "grottesco", per quanto ben costruito e infarcito di modelli e di maniera (da Un tranquillo week-end di paura ad Amenàbar, in pratica tutti i thriller degli ultimi trent'anni, anzi di più visto che c'è chi dice che si rifà ad Hitchcock), in alcuni momenti perde la misura ed eccede alla ricerca del messaggio (ad es. i telegiornali sull'omicidio della ragazza). Comunque, al di là di tutto, passino i difetti registici, passino anche gli eccessi di zelo da bravo studente, ma una cosa non gli si può perdonare: come può un montanaro mezzo scemo, che gira con una radio al collo ed è l'ultimo abitante di un paese abbandonato, avere come cane da compagnia un JACK RUSSEL TERRIER, il cane più alla moda del momento!!! L'errore è assolutamente imperdonabile, tanto più se voleva citare The Mask!

mercoledì, agosto 01, 2007

Libération 1 agosto 2007

Libération 31 luglio 2007

Scongiuri

Su consiglio di Fulvio voilà gli scongiuri neanche tanto velati di Dino Risi