lunedì, novembre 27, 2006

Marie Antoinette, cinebrivido ancien régime



Che bello, finalmente un film che produce piacere per gli occhi e per le orecchie, la colonna sonora* dark associata allo stile rococo di Versailles è strepitosa. Lusso, frivolezze, golosità di ogni sorta per riempire la noia di nobili e cortigiane che conducono la vita più futile e vacua che si possa immaginare. Nessun moralismo, nessuna condanna da parte di Miss Coppola, solo l'eccesso che induce in fine quel vago senso di nausea che impedisce di godere.
Scarpe meravigliose, acconciature da brivido, dolci pazzeschi e champagne a fiumi per distrarsi e dimenticare la disperazione di una vita inautentica, ipocrita e superficiale. Chissà perchè ci si riconosce tutti un po' e si teme l'arrivo della plebe con i forconi. Sotto sotto intanto, come in un quadro di Ensor, si sa che, dietro le variopinte mascherine, Tutti i gatti sono grigi. Così cantano i Cure, in piena sintonia con l'atmosfera di Versailles e di oggi.

In the caves
All cats are grey
In the caves
The textures coat my skin
In the death cell
A single note
Rings on and on and on

PS
La Zoetrope, casa di produzione di Francis Ford Coppola, si ripropone di concepire e realizzare un cinema creativo e anticonvenzionale. Magari non ci riesce proprio sempre, però almeno si dà da fare.

*La colonna sonora di Marie Antoinette

Hong Kong Garden - Siouxsie & The Banshees
Aphrodisiac - Bow Wow Wow
What Ever Happened - The Strokes
Pulling Our Weight - The Radio Dept.
Ceremony - New Order
Natural's Not In It - Gang Of Four
I Want Candy (Kevin Shields Remix) - Bow Wow Wow
Kings Of The Wild Frontier - Adam & The Ants
Concerto in G - Antonio Vivaldi / Reitzell
The Melody Of A Fallen Tree - Windsor For The Derby
I Don't Like It Like This - The Radio Dept.
Plainsong - The Cure

Intro Versailles - Reitzell / Beggs
Jynweythek Ylow - Aphex Twin
Opus 17 - Dustin O'Halloran
Il Secondo Giorno (Instrumental) - Air
Keen On Boys - The Radio Dept.
Opus 23 - Dustin O'Halloran
Les Baricades Misterieuses - Francois Couperin / Reitzell
Fools Rush In (Kevin Shields Remix) - Bow Wow Wow
Avril 14th - Aphex Twin
K. 213 - Domenico Scarlatti / Reitzell
Tommib Help Buss - Squarepusher
Tristes Apprets - Jean Philippe Rameau /W. Christie
Opus 36 - Dustin O'Halloran
All Cats Are Grey - The Cure

domenica, novembre 26, 2006

Cinema invisibile e invedibile




Dopo anni di rivendicazioni del diritto di vedere anche il cinema meno commerciale è alquanto doloroso constatare che l'invisibilità di certi film impegnati, difficili e/o "scomodi" che siano, è assolutamente auspicabile. Forse sono io che ho sfiga, fatto sta che questa settimana, non paga di aver visto Lettere dal Sahara mi sono voluta sorbire anche Fallen. Trattasi di due opere che pur diversissime rientrano nella categoria dei film che, seppur presentati ad importanti festival - nello specifico Venezia 2006 - non godono poi dell'adeguata visibilità. Mai avrei detto che un tale fenomeno fosse inteso alla difesa dell'ignaro spettatore il quale, dopo aver letto critiche inneggianti alla rinascita del cinema "off" e militante, pur di fruire i suddetti capolavori si addentra in fatiscenti sale parrocchiali e/o opportunistiche rassegne a tema. Passi il bravo temino di Barbara Albert: Fallen non è privo di una sincerità di fondo e di un'involontaria comicità, inoltre la giovane regista gode dell'attenuante dell'inesperienza e dell'aver fatto una scuolaccia di cinema. Nessuna pietà merita invece Lettere dal Sahara: additato come il primo grande film verità sul fenomeno dell'immigrazione, non è altro che una favoletta moraleggiante, e delle più bigotte per giunta. L'idea di fondo è che l'immigrato che merita comprensione è il classico buon selvaggio dai buffi e stupidi costumi, ma abbastanza scemo da non discostarsene. Vittorio De Seta è stato un grande documentarista (anche in questo film lo si nota quando si limita a documentare) ed è ora una persona anziana che merita rispetto ed indulgenza, tuttavia dopo aver inflitto all'ignaro spettatore due ore e passa di Lettere dal Sahara meriterebbe di sperimentare sulla sua pelle l'effetto che la disperazione e il degrado producono sulla morale umana.

mercoledì, novembre 22, 2006

Mr Altman's Long Goodbye



Era uno dei migliori, ci dispiace che se ne sia andato e vogliamo ricordarlo con la musica di uno dei suoi film più belli,
Il lungo addio, per l'appunto.
Ciao Mr Altman e grazie per I compari, per MASH, per California poker, per Anche gli uccelli uccidono, per Nashville, per Gang e per tutti gli altri.

domenica, novembre 19, 2006

Quando l'umorismo è un'arte raffinata




Dupree sfonda il cesso del piano terra della casa dei giovani sposi dove si è installato. Preso da un attacco di scagotto fa irruzione nell'intimità della camera nuziale. In evidenza l'imbarazzante priapismo dello sposo. Che sollazzo, l'umorismo del cazzo. Comunque dopo il livello si alza con citazioni colte, tipo il burro in 'Ultimo tango a Parigi-Zagarolo'.

venerdì, novembre 17, 2006

Il vento che strappa le unghie



La canzone che dà il titolo al film, e che riporto per intero qui sotto, parla di un uomo combattuto per il fatto di dover scegliere tra due amori, la donna e la patria oppressa, il quale viene tolto dall'imbarazzo di dover annunciare alla sua bella che intende unirsi ai ribelli, perché, proprio mentre 'sta per dirglielo, lei viene uccisa da un colpo sparato dal nemico. Insomma, laddove non c'è libertà, l'unica vera scelta possibile è quella della lotta. Vabbè rivoluzionari, ma eran pur sempre anche cattolici, ci voleva pur una vergine da sacrificare e nel nome della quale combattere.
Che sia un film ideologico? A me, tutto sommato, sembra piuttosto distaccato: degli indipendentisti Loach mostra molte sfacettature, alcune delle quali affatto lusinghiere. In più occasioni la loro violenza e la rigidità in pieno stile "credere, obbedire, combattere" si rivela del tutto simile a quella dei nemici che stanno combattendo. Loach spiega in generale le ragioni e la necessità storica delle guerre di liberazione, ma anche i loro paradossi e le contraddizioni. Insomma, le critiche all'approccio eccessivamente militante del regista mi sembrano piuttosto fuori luogo. Caso mai, è sulle capacità registica che gli si può fare qualche appunto: la prima parte un po' troppo ad effetto, gli inserti esplicativi tipo il processo o il dibattito sul Trattato, per non parlare della discussione in chiesa. Insomma non è proprio raffinato come regista, ma gli si perdona perché è antiamericano e filoterrorista.

WIND THAT SHAKES THE BARLEY

I sat within a valley green
Sat there with my true love
And my fond heart strove to choose between
The old love and the new love
The old for her, the new that made
Me think on Ireland dearly
While soft the wind blew down the glade
And shook the golden barley

Twas hard the mournful words to frame
To break the ties that bound us
Ah, but harder still to bear the shame
Of foreign chains around us
And so I said, "The mountain glen
I'll seek at morning early
And join the brave united men"
While soft wind shook the barley

Twas sad I kissed away her tears
Her arms around me clinging
When to my ears that fateful shot
Come out the wildwood ringing
The bullet pierced my true love's breast
In life's young spring so early
And there upon my breast she died
While soft wind shook the barley

I bore her to some mountain stream
And many's the summer blossom
I placed with branches soft and green
About her gore-stained bosom
I wept and kissed her clay-cold corpse
Then rushed o'er vale and valley
My vengeance on the foe to wreak
While soft wind shook the barley

Twas blood for blood without remorse
I took at Oulart Hollow
I placed my true love's clay-cold corpse
Where mine full soon may follow
Around her grave I wondered drear
Noon, night and morning early
With aching heart when e'er I hear
The wind that shakes the barley

-Words and music by Robert Dwyer Joyce (1830-1883)

lunedì, novembre 13, 2006

Sorrentino vuole essere Lynch


Giacomo Rizzo, alias Geremia contempla Miss Agropontino (Laura Chiatti): un riferimento alla carriera dello storico caratterista deLa professoressa di scienze naturali e La vergine, Il Toro e Il Capricorno?


Non fatevi fregare dal trailer accattivante con la canzone di Antony (ebbene sì, non è Tracy Chapman) e dalle prezzolate recensioni (la distribuzione è Medusa), la giuria di Cannes 2006, che l'aveva brutalmente stroncato, aveva assolutamente ragione, L'amico di famiglia è un bidone. Trattasi dell'ennesimo ritratto dell'archetipo dell'avaro, ossessionato dall'accumulare, emotivamente alienato, nonché fisicamente e moralmente deforme. Fin qui tutto bene, il tema non è nuovo, ma il topos di fatto è inesauribile. Ciò nonostante Sorrentino, evidentemente, teme di non essere abbastanza originale e si adopera per accrescere il valore artistico dell'opera puntando tutto su quello stile grottesco che già ha contraddistinto altri suoi più riusciti lavori. La "maniera" di Sorrentino è accattivante e non priva di fascino, una delle poche novità del cinema italiano contemporaneo, ma in questo film è così eccessivamente calcata da risultare artificiosa se non addirittura fastidiosa: una ricerca dell'effetto tanto gratuita da diventare irritante. Dalla suora sepolta nella sabbia della prima inquadratura (difficile resistere alla tentazione di "passarla" al vicino), alle scene in stile Marlboro country, fino alle ambientazioni più surreali che David Lynch se le sogna (credo abbia girato anche a Padovaland), l'onirico impazza fino alla nausea.
Dal canto suo il povero Giacomo Rizzo, non per niente ha fatto il caratterista per una vita: se avesse saputo reggere un ruolo da protagonista glielo avrebbero fatto fare anni fa. Per non dire di Miss Agropontino (la gnocca che risveglia i sentimenti del mostro, sì proprio come ne Le conseguenze dell'amore), una che crede nella beneficienza ad Emergency, ma si esibisce in danze patetiche ai concorsi di bellezza. Non si salva neanche Bentivoglio, che l'accento veneto poteva studiarselo un po' meglio. A proposito, comincia a stufare 'sta storia che il veneto è sempre il più infame. Dopo i film antiamericani tanto deprecati da Lady Ferrara, alias Anselma Dell'Olio, avremo anche quelli antiveneti? Attenzione, pare che le due cose coincidano, il fatto che il veneto Gino (il personaggio interpretato da Bentivoglio) vesta da cowboy e sogni il Tennesee fa pensare ad un complotto...

domenica, novembre 12, 2006

I defunti, ovvero al di là del bene e del male





Mi piacerebbe interpellare un anglofono che mi spiegasse bene il (doppio?) senso del titolo originale dell'ultimo film di Scorsese. The departed sono i "dipartiti", ovvero "i defunti", ma to depart significa "partire, lasciare, abbandonare", quindi mi viene da pensare ad un doppio senso per cui "gli abbandonati" sono anche defunti. A favore di questa interpretazione depone anche il fatto che, per la terza volta, dopo averlo fatto in Goodfellas e Casino, Scorsese usa Gimme Shelter dei Rolling Stones come colonna sonora del mondo del crimine organizzato. Come dice la canzone
Oh, a storm is threatning
My very life today
If I dont get some shelter
Oh yeah, Im gonna fade away
chi non trova protezione rischia di sparire, quindi chi viene abbandonato è già morto. Più che di etica è una questione di sopravvivenza: nella little Italy di Scorsese (e non solo) non si tratta di scegliere tra il bene o il male, ma di mettersi al sicuro. Così succede che il buono deve fare il cattivo e il cattivo deve fingersi buono. Un gioco di specchi dove guardie e ladri alla fin fine sono quasi la stessa cosa. Dico quasi perché sotto sotto per Scorsese i buoni e i cattivi ci sono ancora.
Bravi gli attori (tra gli altri un Alec Baldwin imbudellito ormai interscambiabile con Michele Placido) e veramente fantasioso il turpiloquio.
We have a comment!!!! In english!!!
Dianne says "This is the best movie I have seen in a long time, Jack deserves an Oscar. Also not a big Leanardo fan I have to admit this has been his best work yet, also worth an Oscar."

Niente da nascondere




In Italia Michael Haneke è conosciuto soprattutto per Funny Games e la pianista, gli altri suoi film sono usciti un po' in sordina e non hanno destato grande interesse. Il motivo è evidente, è un cinema troppo intellettuale che, a meno di non inscenare signore represse che si tagliuzzano la frittola suscitando reazioni estreme tra il pubblico, non ha speranza di essere considerato con l'adeguata attenzione. Nel caso di Niente da nascondere è un peccato, perché, per quanto criptico, il film è godibile ed intrigante. Un tizio molto ammodo viene minacciato con delle videocassette che mostrano scene della sua vita. Lui non avrebbe, per l'appunto, niente da nascondere, però una cosa che tiene nascosta c'è. Si tratta di una vicenda accaduto tra lui ed un bambino algerino. All'epoca lui aveva 6 anni, non può certo essere ritenuto responsabile di ciò che è accaduto, eppure si vergogna, nega, si arrabbia, nonostante sia una persona molto colta che, in televisione, parla di letteratura e di poesia. Cosa vuole dire Haneke? Forse che un mancato confronto con il passato coloniale è già una colpa che, quindi, ricade dai padre sui figli.

venerdì, novembre 03, 2006

Poltergay



Cinque checche rimaste ferme agli anni '70 sono i poltergays che perseguitano un giovane marito in procinto di metter su casa. La casa, per l'appunto, una trentina d'anni prima era stata una disco gay e i cinque fantasmi vi sono rimasti imprigionati come nella miglior tradizione horror. La moglie non li può vedere e, quel che è peggio, non può spiegarsi lo strano comportamento del marito. Una commedia simpatica ed intelligente, forse troppo per uscire in Italia, che si prende gioco di tutti gli stereotipi e li supera allegramente senza troppe riverenze al "politically correct". Siamo ormai al post-Priscilla, non è più tempo di ghetti, omofobi o omofili che siano. Bella la versione di Born to be alive cantata dalla stessa Julie Depardieu, coprotagonista nonché figlia di Gerard.

Voilà il trailer o "la bande annonce", come lo chiamano i francofoni

giovedì, novembre 02, 2006

Le Bandiere di Clint

>The picture was staged


Alla veneranda età di 76 anni Clint Eastwood continua a sfornare film che sono uno meglio dell'altro. In primo luogo, e che sia chiaro una volta per tutte, lui è tutt'altro che fascio. Anzi, da Il cavalliere pallido (1985) in poi, con qualche raro momento di debolezza tipo I ponti di Madison County (1995), Clint si è sistematicamente adoperato alla demolizione del mito americano che, per un certo periodo, lui stesso ha incarnato. Evidentemente l'aver frequentato Sergio Leone gli ha impedito di identificarsi completamente con Harry Callaghan. Insomma, il giustiziere ha cessato di credere nella giustizia e ha messo in questione i valori per cui vale la pena battersi e, soprattutto, uccidere. In quest'ultimo film Clint allarga la sua riflessione al discorso storico-patriottico e lo fa con grande stile, coraggio ed intelligenza. Inutile star qui a recensirlo, andate a vederlo: ce n'è per gli occhi e per il cervello.
PS: dopo averlo visto evitate i liberi pensatori alla Giuliano Ferrara e Giampaolo Pansa, si sentono molto in sintonia con Eastwood, senza aver capito niente.